Recensione: "Ragazzi di vita" di Pier Paolo Pasolini
Di Manolo Trinci
Introduzione
Durante l'autunno del 1954 Pasolini lavora alacremente alla stesura del romanzo, il manoscritto definitivo è dell'aprile del 1955. La pubblicazione di Ragazzi di vita fin dal primo momento della sua venuta alla luce, ha subito un percorso tremendamente travagliato. Solo per questo motivo, l'opera pasoliniana andrebbe acquistata e letta. Le difficoltà infatti che ha dovuto superare l'intellettuale bolognese, non furono solo di carattere stilistico e linguistico, (il romanzo è in dialetto romanesco) ma anche di censura. La censura che colpì lo scrittore bolognese infatti, ci andò pesante. Pasolini sotto richiesta di Livio Garzanti (il suo editore dell'epoca) dovette "ripulire" con malavoglia completamente il romanzo, sostituendo con i puntini di sospensione le "brutte parole" e alleggerire alcuni degli episodi più scabrosi. Può sembrare un lavoro da nulla in un normale romanzo, una routine quasi, ma in un racconto che si fonda in un linguaggio ben preciso, e si narra di realtà di ragazzi di borgata, che sono provvisti di una dialettica non certo elevata e fine, ma grezza e povera di contenuti, il lavoro di ripulitura diventa davvero consistente. Il libro quando esce subisce la prima violenta censura dalla Presidenza del Consiglio nella persona dell'onorevole Antonio Segni, che lo denuncia immediatamente al procuratore della Repubblica di Milano, per contenuto pornografico. Il romanzo subì critiche da tutti i fronti, sia dagli "amici" marxisti, sia da cattolici e fascisti, ovviamente. Le prime recensioni non sono certo entusiastiche. Scrive Carlo Salinari: "Pasolini sceglie apparentemente come argomento il mondo del sottoproletariato romano, ma ha come contenuto reale del suo interesse, il gusto morboso dello sporco, dell'abietto, dello scomposto e del torbido". Il libro viene bocciato sia al Premio Strega sia al Premio Viareggio. La sua uscita però globalmente riscuote un grande successo, nonostante le censure e gli "scandali". La parola "scandalo" in quegli anni verrà sempre associata alla figura di Pasolini, che lo accompagnerà per tutta la vita, anche dopo la sua tremenda morte. Tra le pagine di questo libro si possono scorgere i primi frammenti delle opere cinematrografiche pasoliniane, come Accattone (1961), e Mamma Roma (1962). Le sue prime sceneggiature che contribuiranno a comporre i suoi capolavori cinematografici, quei visi realistici e crudi delle borgate romane, quel linguaggio poco aulico ma molto diretto ed essenziale, quelle figure quasi leggendarie, che prenderanno vita e saranno trasportate sul grande schermo.
Ragazzi di vita
L'incipit di Ragazzi di vita letto da Massimo Popolizio,
per il programma radiofonico
"Ad alta voce"
I PERSONAGGI
I personaggi che compongono la storia, come abbiamo visto sono molti, oltre Il Riccetto, ci sono: Marcello, Alduccio, il Caciotta, il Lenzetta, Genesio, il Begalone, il Pistoletta e tanti altri. Tutti o quasi posseggono un soprannome che rispecchia non solo le loro caratteristiche fisiche ma anche quelle caratteriali, una sorta di livrea che li differenzia tra loro. Il Riccetto come gli altri "ragazzi di vita" vivrà allo sbando, conoscerà la parte più dura e ruvida di una vita che lo ha già colpito sin dalla nascita. Un intreccio, questo, di storie e personaggi che comporranno come un mosaico la testimonianza di Pasolini sulle borgate romane. La vita dei borgatari non aveva di certo uno scopo, si viveva giornalmente di continui espedienti, di furtarelli, e i punti di riferimento come possono essere i valori di natura familiare, erano praticamente inesistenti.
La casa "era un albergo" come direbbe oggi una mamma ad un figlio che torna a casa solo per mangiare e dormire, certo un albergo ma non dei più lussuosi, chiamarle casucole è un eufemismo. Il ritorno a casa, quando c'era (perché il più delle volte il Riccetto e i suoi amici non ne facevano ritorno) era drammatico, c'erano dei continui conflitti con i familiari, che si concludevano nei casi migliori in male parole.
IL LINGUAGGIO
Il linguaggio dialettale con sfumature tra il guascone, il volgare, e la battuta fulminante (un marchio di fabbrica dei romani), che Pasolini usa nel suo racconto grazie al prezioso aiuto di Sergio Citti, consulente da sempre per i romanzi d'ambiente e linguaggio romanesco, è completamente diverso da quello odierno. L'evoluzione della lingua italiana ha mutato anche il dialetto romano, diversissimo al tempo pasoliniano, quel romanesco oggi è quasi del tutto sconosciuto ai più giovani (nonostante siano della stessa città), che usano un linguaggio più vicino alla lingua parlata, più comunicativo, semplice e diretto.
Il SENSO DELL'OPERA
Il senso dell'opera come tutte quelle che compongono l'universo pasoliniano, non è altro che: una cinica, pulita, realistica descrizione della realtà dell'epoca. Come dirà Pier Paolo Pasolini successivamente:
“Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino: e poiché ciascuno testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la borgata romana”.
Una realtà drammatica di persone che vivono di "impicci", sempre con le mani in pasta, ma che hanno più un volto di sopravvivenza che di violenza. Nessuno avrebbe mai paura di Riccetto o di Marcello se li incontrasse per strada: spettinati, magrissimi, affamati, sporchi e con le vesti usurate.
Nella realtà pasoliniana la borgata era molto più individuabile e riconoscibile, ora la realtà delle borgate è completamente diversa, i borgatari non soffrono la fame, non vivono nelle baracche, e neanche vengono chiamati più borgatari. Bisogna dire che a differenza degli anni cinquanta, però, non c'è più l'orgoglio di appartenere al sottoproletariato romano (o in qualsiasi altra parte si nasca), come poteva avere un ragazzo di vita dell'epoca, di essere quel che si è, e non di sembrare altro, come succede oggi con l'omologazione (denunciata già all'epoca da Pasolini), un modello ben preciso che accomuna tutti gli stati sociali, facendo delle persone e della loro unicità, una poltiglia irriconoscibile.